L'ora che passa

Ce l'avete presente il trascorrere del tempo in un vecchio convento di frati o di suore? Non adesso, la maggior parte di quei luoghi si sono probabilmente adattati ad un tipo di vita che forse meglio si adatta ad una serie di esigenze "temporali" più che spirituali. Comunque, intorno al XV secolo le cose andavano in maniera abbastanza semplice e cadenzata e tutto il giorno sembrava fatto apposta per costringere i monaci ad evitare le tentazioni. [1] Durante la stagione invernale, cioè dal principio di novembre sino a Pasqua, secondo un calcolo ragionevole, la sveglia sia verso le due del mattino [2] in modo che il sonno si prolunghi un po' oltre la mezzanotte e tutti si possano alzare sufficientemente riposati... Una vita comodissima, vero?
No, non preoccupatevi. Non voglio tenere una lezione sulle congregazioni religiose, non ne sarei capace e non ne sarei probabilmente degno. Certo che per noi moderni, abituati ad una serie di accessori e facilitazioni, compresa la luce elettrica, pensare ad una vita dettata semplicemente dal sorgere e dal tramontare del sole deve essere per forza uno sforzo incredibile. Mi resta però un dubbio. Sono io solamente ad avere la tentazione di passare qualche giorno [non di più] in un luogo senza telefoni, senza luce e ammennicoli vari tanto per vedere l'effetto che fa? Spero solo che a qualcuno non venga la stessa idea per farci un reality...

Commenti

try to understand ha detto…
Mi lancio in un altro luogo comune... Forse non è importante quanto viviamo o quanto ci sembra di vivere, ma è la qualità di quello che viviamo che potrebbe fare la differenza. Un'amica mi ha inviato una storiella in cui si paragona la vita ad un viaggio in treno, di solito sorrido a queste cose, ma questa volta ho provato un po' di velata tristezza (di quella buona, però). In fondo non l'ho detto io che "è importante il viaggio, non la destinazione".
Sorrisi ai frutti di bosco, e una carezza (oggi mi sento espansivo).
try to understand ha detto…
"come" se avessi paura di dire? Oppure hai proprio paura, di dire? A volte è difficile dire veramente quello che si ha dentro ed è ancora più difficile scriverlo. Alcune cose vengono così, di getto. Altre vanno cercate e nel cercarle vengono razionalizzate e dopo averci pensato si decide di non dirle o scriverle più.
Ho letto un giornale (online, come al solito) e tra le tante notizie ne ho letto una che mi ha lasciato una tristezza profonda, di quelle che ti svuotano completamente. Avevo un altro post in mente, ma oggi sono chiuso per incapacità mentale temporanea...
Sorrisi "svuotati" (ma non vuoti, questo no). E' un piacere leggerti!

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